GUIDA GRAMMATICA ITALIANA


ERRORI GRAMMATICALI PIÙ COMUNI (1)

Avvertenza: questo elenco degli errori grammaticali più comuni è conforme alle regole più ortodosse dalla lingua italiana. I riferimenti principali sono stati la 'Grammatica italiana moderna' ed il 'Novissimo dizionario della lingua italiana' di Fernando Palazzi, considerato un purista. Tuttavia, va sottolineato che alcuni vocaboli e locuzioni, criticati dai grammatici più rigorosi, sono entrati nell'uso quotidiano e in pochi li riterrebbero gravi errori (come nel caso dei francesismi).
Lettera A
a  »  preposizione, quando è usata come prefisso per comporre parole, richiede il raddoppiamento della consonante: esempio a-lato, allato; a-canto, accanto; a-torno, attorno; a-fondo, affondo; a-dosso, addosso; a-posizione, apposizione, ecc.
Nelle locuzioni avverbiali a mano a mano, a poco a poco, a passo a passo, a corpo a corpo, a spalla a spalla, a tre a tre, a goccia a goccia e simili, la preposizione a deve essere ripetuta per ogni parola; non è raro, però, incontrare locuzioni con una sola a, secondo l'uso francese: gomito a gomito, faccia a faccia, poco a poco, uno a uno, mano a mano, ecc.
Altre espressioni entrate ormai nell'uso sono: spaghetti al sugo, uova al burro, bistecca ai ferri o alla gratella, gelato alla crema, che rientrano nel complemento di mezzo; perciò si dovrebbe dire più correttamente: spaghetti col sugo, uova col burro, bistecca sui ferri o sulla gratella, gelato di crema. Così sono entrate nell'uso le espressioni: alla francese, all'americana, all'antica (sottinteso: maniera), al trotto, al galoppo (che indicano appunto un modo di correre dei cavalli); tuttavia, chi vuole essere assolutamente corretto dirà: di trotto, di galoppo.
Rientrano nel complemento di tempo le espressioni invalse nell'uso: una volta al giorno, al tramonto, a notte alta, alla mattina, alla sera. Altri modi errati sono: a mezzo di (è più corretto dire: per mezzo di), a nome di (in nome di), a nome Giulio (di nome Giulio), insieme a (insieme con).
Francesismo da evitare è l'uso di a con l'infinito nelle espressioni: a riportare, a registrare, a spedire. In tutti questi casi si dovrebbe usare la preposizione da (da riportare, da registrare, da spedire).

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abbino  »  errore comune in certi dialetti; si deve dire: abbiano.

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abboccàre  »  abboccare a: abboccare all'amo; più correttamente, si dovrebbe dire: abboccare l'amo.

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abbonàre  »  abbonarsi a un giornale, a una rassegna e simile è uso ripreso dai puristi come francesismo; dovrebbe dirsi associarsi a una rassegna, ecc.; ma è ormai modo entrato nell'uso quotidiano.

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abbruníre  »  abbordare una questione, una difficoltà, per accingersi o prendere a trattare, a discutere, a risolvere.

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abbruníre  »  non può essere usato nel senso di vestirsi a lutto, invece di "abbrunare".

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abortíre  »  secondo i puristi è erroneo usarlo in senso figurato di impresa, disegno e simile per andare a vuoto, non riuscire, fallire.

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accaparràre  »  accaparrarsi l'amicizia, il favore, la protezione per intendere procacciarsi, procurarsi, conquistarsi, ottenere, ecc. sono modi di dire criticati dai puristi della lingua italiana.

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accènto  »  nella nostra lingua l'accento si segna soltanto nei seguenti casi:

Nelle parole polisillabe:
a) quando l'accento cade sull'ultima sillaba (parole tronche): ad esempio, virtù, bontà;
b) quando varia il significato della parola, secondo la sillaba su cui cade l'accento: esempio àncora, ancóra; bàlia, balìa;
c) quando varia il significato della parola secondo che l'accento sia grave o acuto: ad esempio, fóro (buco), fòro (piazza); ésca (nutrimento), èsca (imperativo del verbo uscire), ecc.

Nelle parole monosillabe:
a) quando terminano in dittongo e potrebbero sembrare due sillabe: ciò, può, già, più, ecc. Però qui, qua non si accentano mai, poiché la u è parte integrale del suono della q;
b) quando si debbano distinguere da altri: ché (perché) diverso da che congiunzione; (verbo) diverso da da preposizione; (avverbio) da la articolo; ecc.

Ecco un elenco di parole, delle quali più comunemente si sbaglia la pronuncia (tabella tratta da "Grammatica italiana moderna" di Fernando Palazzi):

dirai: e non:
adùlo àdulo
àlacre  alàcre
alchìmia  alchimìa
anodìno  anòdino
ànodo  anòdo
àrista  arìsta
àtavo  atàvo
càtodo  catòdo
coccìge  còccige
dirai: e non:
còmparo  compàro
còrizza  corìzza
dìruto  dirùto
èdema  edèma
elàboro  elabòro
gòmena  gomèna
gratùito  gratuìto
incìto  ìncito
interpòlo  intèrpolo
dirai: e non:
irrìto  ìrrito
lesèna  lèsena
màcabro  macàbro
micròbo  mìcrobo
pòlizza  polìzza
reclùta  rècluta
regìme  règime
scòrbuto  scorbùto
   
dirai: e non:
sepàro  sèparo
sguaìno  sguàino
soggólo  sòggolo
surrògo  sùrrogo
tèrmite  termìte
testimòne  testìmone
valùto  vàluto
zaffìro  zàffiro
   

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accentuàre  »  secondo i puristi è erroneo usarlo nelle seguenti accezioni: mettere in evidenza, far rilevare (accentuare il proprio pensiero); accrescere (il male si è accentuato; abbiamo accentuato la nostra influenza).

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accidentàto  »  erroneo, se detto di terreno, invece di vario, ineguale, irregolare, frastagliato, tormentato, sconvolto e simile.

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accompagnàre  »  di documento, lettera, ecc., è meglio dire "trasmettere", "inviare".

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accusàre  »  accusare ricevuta, è considerato un brutto francesismo, usato al posto del più corretto dichiarare ricevuta.

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àcre  »  ha il superlativo irregolare: acerrimo. La forma acrissimo non è più usata.

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addizionàle  »  per aggiunto, accessorio: centesimi addizionali, articolo addizionale. I puristi riprovano quest'accezione, così come considerano riprovevoli: addizionalità per aggiunta; addizionalmente, in aggiunta.

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addizionàre  »  per aggiungere, quando non si tratti di somma aritmetica, è da evitare.

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adempíre  »  (o adémpiere meno comune) è verbo transitivo e quindi è errato usarlo intransitivamente, con la preposizione a: adempiere ai propri doveri. Si dovrebbe dire adempiere i propri doveri.

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aderíre  »  è considerato erroneo dire aderire agli ordini, ai consigli, per intendere "conformarvisi".

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adìre  »  propriamente significa "andare verso un luogo", ma solo in senso figurato. Il participio passato è "adìto". Poiché il verbo è transitivo, bisogna dire "ho adito le vie legali" e non "ho adito alle vie legali".

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adottàre  »  è improprio l'uso di adottare per prendere, scegliere, eleggere un provvedimento, un partito e simile, o, se la proposta viene da altri, per accertare, accogliere, abbracciare, approvare; e lo stesso dicasi per adozione e derivati.

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aèreo  »  prefisso adoperato per comporre parole attinenti all'aeronautica. Nell'uso corrente è spesso sostituito da aero: aeroporto invece di aereoporto, aeroplano invece di aereoplano. Mai, però, bisognerebbe dire "areoplano", che è un errore non raro.

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affàtto  »  significa interamente, del tutto; è quindi errato l'uso che alcuni fanno di questo avverbio in senso negativo, quando non sia preceduto da negazione. Esatto è dire: non mi è affatto simpatico; ma questa stessa frase, senza la negazione, mi è affatto simpatico, significa proprio il contrario (mi è del tutto simpatico).

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affinché e acciocché  » sono congiunzioni che introducono proposizioni finali. Reggono sempre il congiuntivo: te lo dico affinché tu possa provvedere.

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affittàre  »  è limitato ai fondi rustici. Da questo verbo derivano affittavolo, fittavolo, ma esso si usa anche per case, botteghe, ecc., per le quali sarebbe più appropriato utilizzare appigionare, locare, dare a pigione. In ogni modo, non significa mai prendere in affitto; quindi, è un grossolano (e frequentissimo) errore dire: io ho affittato un appartamento, per dire che io l'ho preso in affitto.
Tuttavia è ormai entrata nell'uso commerciale la locuzione "affittasi, affittansi". Attenzione: un errore molto comune è quello di usare il verbo al singolare quando il soggetto è plurale. Ad esempio, è errato scrivere "Affittasi case per l'estate"; la forma corretta è "Affittansi case per l'estate".

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aggettívo  »  concorda in genere e numero con il nome a cui si riferisce. Però, quando i nomi sono di genere diverso, l'aggettivo va al maschile se si tratta di nomi di persona: Marco e Luisa sono bravi. Se si tratta di cose o nomi astratti, allora si deve cercare di disporre l'aggettivo in modo che concordi col nome più vicino: il giglio e la rosa odorosa, prati e selve vastissime, vastissimi prati e selve; la virtù e il gènio italiano, oppure si può adoperare il plurale maschile (ad esempio, lo sguardo e la fàccia stravolti, Manzoni).
Se l'aggettivo forma parte del verbo, esso si dovrà mettere al maschile plurale quando è riferito a nomi di diverso genere, anche se inanimati: il giglio e la rosa sono odorosi.
Riguardo alla collocazione dell'aggettivo, è bene tener presente alcune osservazioni di carattere generale.
L'aggettivo si antepone al nome quando ha senso generico o esprime qualità essenziale del nome stesso: il biondo Tevere, gli ottimi vini, le ricche vesti.
Si pospone al nome quando, invece, indica qualità che lo distingua da altri nomi dello stesso genere: vino spumante, tavola rotonda; o quando l'aggettivo sia accompagnato da complementi: uomo illustre per molti meriti.
Taluni aggettivi assumono sfumature di significato diverso secondo la posizione in cui sono collocati. Si noti: un uomo povero e un povero uomo; un bravo figliolo e un figliolo bravo; un gentiluomo e un uomo gentile; un uomo galante e un galantuomo.

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aggettívo sostantivato  »  l'aggettivo può essere impiegato anche come nome; in questo caso, si chiama aggettivo sostantivato. Per sostantivare un aggettivo, basta farlo precedere dall'articolo e usarlo senza l'accompagnamento del nome.
La sostantivazione dell'aggettivo può avvenire in due casi diversi:

  1. quando si può facilmente sottintendere il nome a cui si riferisce : ad esempio, l'Addolorata (si sottintende Madonna); i giovani (si sottintende uomini); il primo della classe (si sottintende scolaro); la Serenissima (si sottitende Repubblica veneta);
  2. quando l'aggettivo è usato come nome astratto: ad esempio, il vero, il falso, il bello, il brutto, che significano la verità, la falsità, la bellezza, la bruttezza, ecc..
È da notare inoltre che gli aggettivi dimostrativi, possessivi, indefiniti, quando non sono accompagnati da un nome, non vanno considerati come nomi, ma come pronomi; perciò, si chiamano aggettivi pronominali.
Brano tratto dalla "Grammatica italiana moderna" di Fernando Palazzi, casa editrice Giuseppe Principato, pagine 83 e 84.

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àla  »  ha il plurale irregolare: le ali.

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all'infuori di  »  modo considerato erroneo di fuori di. Sarebbe da evitare l'uso di all'infuori di, al posto di: fuorché, eccetto, ad eccezione e simili.

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altèzza  »  per i puristi è erroneo dire essere o non essere all'altezza del proprio ufficio o dei tempi ecc., invece di essere o non essere pari al proprio ufficio, avere o non avere animo inferiore ai tempi.

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altimetría  »  è erroneo usarlo invece di altezza, altitudine.

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ambedúe  »  entrambi, ambo rifiutano l'articolo, ma lo vogliono sempre dinanzi al nome a cui si accompagnano: ambedue i fratelli, entrambe le donne, ambo le mani.

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ambiènte  »  per i puristi della lingua italiana non è bello usarlo per indicare il luogo, le persone e le cose in mezzo a cui viviamo (ambiente storico), sebbene sia ormai entrato nell'uso quotidiano. Per i puristi, è deprecabile usare questo vocabolo per indicare stanza (un neologismo da evitare).

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àmpio  »  ha il superlativo assoluto irregolare: amplissimo.

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ancóra  »  è poco corretto usarlo per anche: ci sei ancora tu.

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andàre  »  verbo irregolare della prima coniugazione. Attenzione a non cadere nell'errore di dire andiedi, andetti (riprendendo le forme del verbo "dare") invece di andai. Si usa con il gerundio di altro verbo per indicare azione continuata: andava dicendo sciocchezze. La costruzione del verbo andare con a e l'infinito di un altro verbo per dire che si sta per compiere l'azione indicata da esso, è un francesismo da evitare: si va ad incominciare (più correttamente si dovrebbe dire: si sta per cominciare).
Si può invece costruire il verbo andare con a e l'infinito quando si vuole esprimere una proposizione finale: allora si va a (per) vedere nel tal libro; andiamo a (per) passeggiare.

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animàto  »  è sconsigliato dire bene o male animato verso alcuno, invece di bene o mal disposto.

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ànte- (ànti-)  »  preposizione che, usata come prefisso per comporre parole, richiede dopo di sé la consonante semplice: anteporre, anteguerra, antenato.
Il prefisso anti in alcuni casi indica precedenza temporale o spaziale: antiporta (davanti alla porta), anticamera (davanti alla camera). Più spesso, invece, indica opposizione, avversione: antipapa, antipodo, antincendio, antiaereo, antidiluviano.

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apogèo  »  è sconsigliato dire essere all'apogeo della gloria ecc., invece di essere all'apice, al colmo.

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apostrofàre  »  erroneo, sebbene comunemente accettato e usato, nella seguente forma: apostrofare qualcuno per significare "rivolgersi ad esso e rimproverarlo con parole veementi". Per i puristi, è un uso da evitare, poiché derivato dal francese.

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apòstrofo  »  è il segno dell'elisione o dell'apocope; ma mai del troncamento. Quindi è un errore apostrofare un dinanzi a nome maschile cominciante con vocale: un uomo, un animale, perché in questo caso si tratta di troncamento e non di elisione. Si dovranno apostrofare, invece, un'anima, un'aquila e simili, perché il femminile una si elide e non si potrebbe troncare, appunto perché femminile in a.
Scriverò meglio la amo, che l'amo, se mi riferisco a donna per non confondere col maschile; le età e non l'età, per non confondere singolare e plurale.
Scriverò: ci insegue e c'insegue, ci era e c'era. Ma non scriverò c'odia (che suonerebbe còdia), ci udì e non c'udì (che suonerebbe cudì), ci ama e non c'ama.
Gli, davanti a nome cominciante per i: gl'ingegni (ma gli astri e non gl'astri).
Questo, al plurale si apostrofa più raramente che non al singolare e ciò avviene per ragioni di chiarezza. Questi anni e non quest'anni.
Da si apostrofa in fin d'allora. Casa da affittare e non d'affittare.
L'uso dell'apostrofo alla fine di una riga è comunemente considerato errore, secondo una regola più tipografica che grammaticale; tale regola, priva di validi motivi, oggi è seguita sempre meno. Pertanto, si consiglia di spostare la sillaba contenente l'apostrofo all'inizio della riga seguente, evitando di ripristinare la vocale elisa al posto dell'apostrofo (come avveniva in passato). Ad esempio, si dovrebbe scrivere all'-amore (evitando la reintegrazione della vocale elisa allo-amore). Non è bello, comunque, dividere in fin di riga Di -o, mi -o, anche se le due vocali appartengono a sillabe differenti.
I numeri in fin di riga è bene non dividerli perché può nascere confusione.
L'apostrofo viene usato anche in alcune forme dialettali, quando c'è elisione di una lettera (vocale o consonante). Ad esempio, si dice e si scrive 'o pesce per dire lo pesce (si ricorda che si stanno trattando forme dialettali, perché la lingua corretta impone che si dica "il pesce"). In tali casi, accade che l'apostrofo sia inserito nella posizione sbagliata. Ad esempio, è successo di leggere O' Malese a proposito di una fiction televisiva. La forma corretta che avrebbe dovuto essere usata era 'O Malese, poiché l'elisione riguardava la lettera "l" che avrebbe preceduto la vocale "o". L'apostrofo va collocato nella posizione della lettera elisa, cioè della lettera alfabetica eliminata.

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appannàggio  »  secondo i puristi è erroneo in senso figurato, invece di prerogativa, corredo: ha un appannaggio di virtù; poter cacciare in quei terreni è suo appannaggio.

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appèllo  »  erroneo dire appello nominale, in quanto l'aggiunta nominale è inutile, non potendosi chiamare una persona senza nominarla.

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appéna  »  è un avverbio di tempo per indicare azione già compiuta e quindi non va mai usato con un futuro semplice; potrà essere usato con un futuro anteriore: appena avrà finito (e non: finirà), esamineremo il suo lavoro .

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appòsito  »  è criticato dai puristi se usato nel senso di particolare, fatto apposta; per esempio: con apposito manifesto.

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appòsto  »  è il participio passato del verbo "apporre". È purtroppo frequente leggere "apposto" per intendere "a posto" (Ora è tutto a posto). È un grave errore, da evitare assolutamente.

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arbitràggio  »  erroneo nel senso di giudizio di arbitri, fuori del campo sportivo; è corretto dire arbitrato.

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arretràto  »  è sconsigliato usarlo nel senso di numero di giornale vecchio, passato.

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artícolo  »  si omette davanti ai nomi propri di persona (Carlo è buono); però, nell'uso popolare e familiare, spesso i nomi femminili si fanno precedere dall'articolo (la Lucia, la Giuditta). Va ricordato che col possessivo l'articolo si può omettere davanti ai nomi di parentela, ma solo al singolare, e purché non siano accompagnati da altro aggettivo: mio padre, mia madre; ma sempre i miei fratelli, il mio caro nonno o la mia vecchia nonna, o che il possessivo segua il nome: il padre mio. Col nome mamma o babbo unito al possessivo, si deve mettere sempre l'articolo: la mia mamma, il mio babbo.
Col superlativo relativo è un grave errore ripetere l'articolo quando il nome a cui l'aggettivo si riferisce precede l'aggettivo e abbia già l'articolo: la nazione più gloriosa (e non la nazione la più gloriosa); tuttavia, l'articolo si deve ripetere quando davanti al nome c'è l'articolo indeterminativo (un'alunna la più brava della classe) oppure quando l'aggettivo, anziché essere unito al nome come attributo, svolge la funzione di predicato (il tuo bambino è il più bello del palazzo).
L'articolo determinativo si usa:
a) davanti ai soprannomi e agli appellativi di patria: il Botticelli, il Tintoretto, il Veronese, l'Astigiano;
b) con i cognomi di personaggi famosi: il Manzoni, la Deledda (al femminile e al plurale con tutti i cognomi: la Rossi, i Renzi);
c) con i nomi geografici.
Si omette:
a) con i nomi di città e piccole isole: Roma è eterna, Malta è nel Mediterraneo (ma Il Cairo, La Mecca, L'Aquila, La Spezia, ecc.). Se però il nome è accompagnato da un aggettivo o da una specificazione o non indica la persona o la città, allora richiede l'articolo: la Roma dei papi, la grande Roma, la Roma (= la squadra di calcio);
b) per dare rapidità e concisione al discorso: notte e giorno, prendi carta e penna;
c) nelle esclamazioni, nelle invocazioni e nelle indicazioni: Forza, ragazzi!, Biblioteca.

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articolo partitivo  »  è usato erroneamente con cose che, essendo solamente due, quando sono utilizzate al plurale non possono essere più prese in parte, ma sono indicate necessariamente tutte: quella signora ha degli occhi bellissimi. Si deve dire semplicemente ha occhi bellissimi. Se ne avesse più di due, si potrebbe usare il partitivo; ma, avendone due soli, quando si dice ha occhi bellissimi, li si indica già tutt'e due. àspro  »  ha il superlativo assoluto irregolare: asperrimo.

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assísa  »  (tribunale) fa al plurale assise e non assisi (che è la città di San Francesco).

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associàre  »  è sconsigliato dire associarsi al dolore, all'opinione di alcuno, invece di partecipare al suo dolore, essere della sua stessa opinione.

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assolutaménte  »  in modo assoluto, incondizionatamente, ad ogni costo: voglio assolutamente che si faccia così, senza dubbio (sei pronto a far questo? Assolutamente).

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assorbíre  »  secondo i puristi, tale verbo è erroneo nel senso figurato di prendere, occupare, esaurire, consumare: un'occupazione assorbe il tempo.

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attendíbile  »  erroneo dire ragioni o argomenti attendibili o non attendibili, per dire che hanno o non hanno valore o peso. Persona degna di considerazione (non "attendibile"); Fonte sicura (non "attendibile") o buona fonte.

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attenzióne  »  i puristi sconsigliano di usarlo nel senso di cortesia, riguardo: mi colma d'attenzioni.

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attrazióne  »  è sconsigliato usarlo nel senso di attrattiva, spettacolo che attrae: questa sera ci sarà una grande attrazione.

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ausiliàre  »  i verbi transitivi attivi vogliono sempre l'ausiliare avere. L'ausiliare essere si usa per tutti i tempi della forma passiva (io sono abbandonato), per i tempi composti della forma riflessiva (noi ci siamo aiutati) o pronominale (tu ti duoli). Si usa altresì con i verbi impersonali (era nevicato, si è combattuto) e nei tempi composti della forma attiva di numerosi verbi intransitivi (siamo venuti, si è recato dalla mamma).
Con i verbi indicanti fenomeni atmosferici si trova anche l'ausiliare avere, specie per indicare un'azione continuata (Aveva diluviato tutta la notte; Ha nevicato tutto il giorno).
I verbi servili (volere, potere, dovere e sapere nel senso di potere) hanno sempre l'ausiliare avere quando siano usati in modo assoluto: io ho voluto, potuto, dovuto; quando invece siano seguiti da un verbo all'infinito, prendono l'ausiliare essere o avere, secondo che voglia l'uno o l'altro il verbo che li accompagna: sono voluto andare; ho voluto mangiare.

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automòbile  »  (abbreviato spesso in àuto, alla maniera francese) è femminile, essendo un aggettivo sostantivato, poiché viene sottinteso il nome carrozza, vettura. Quindi si deve dire un'automobile grigia, spaziosa, ecc.
«Automobile è femmina!» disse D'Annunzio, a cui fu richiesto il genere della parola.
Lettera B
bàbbo  »  quando è unito a un aggettivo possessivo vuole sempre l'articolo: il mio babbo; è un errore dire mio babbo. Invece, si potrà dire mio padre.
Oggi, però, per influsso dei costrutti di padre e madre e di vari dialetti, è frequente dire: mamma è malata, tuo babbo arriva tra poco, ecc.

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baràbba  »  resta invariato al plurale: i barabba.

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barbàrie  »  nome femminile che resta invariato nel plurale: le barbarie.

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bèlga  »  al plurale fa irregolarmente belgi; ma il femminile è regolare, belghe.

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bèllo  »  si elide dinanzi a vocale e si tronca davanti a consonante, purché non sia s impura, z, gn, ps (oppure l'aggettivo non sia posposto al nome): bell'azione (però anche bella azione), bell'animale; bel consiglio, bel libro. Negli altri casi va detto: bello gnomo, bella psicologa, bello scopo, libro bello.
Al plurale: begli davanti a vocale, s impura, z, gn, ps; bei davanti alle altre consonanti; belli, quando è posposto al nome ed è usato come predicato nominale. Ad esempio, begli occhi, begli scherzi, begli zaini; bei cavalli, bei sandali; giovani belli; tutti gli sport sono belli. Al femminile: bella, belle.
Notiamo infine le locuzioni con o senza apostrofo: bell'e fritto o bello e fritto
bell'e spacciato o bello e spacciato
bell'e buono o bello e buono.

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benché  »  congiunzione che introduce una proposizione concessiva. Preferisce il verbo al congiuntivo, salvo rare eccezioni in poesia: benché tu sia stanco, ora devi partire; dimagriva sempre, benché mangiasse molto. Un esempio di eccezione poetica: «Benché la gente ciò non sa né crede» (Petrarca).

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bène  »  sostantivo o avverbio, si può troncare in ben: ogni ben di Dio, ben voluto.
Secondo le regole del troncamento ben non richiede mai l'apostrofo: ben amato, ben amata.
Spesso ben si unisce alla parola alla quale si accompagna formando un solo vocabolo: benvoluto, benarrivato, ecc. (ma anche ben voluto, ben arrivato, ecc.).
Una particolare forma di troncamento in vocale con apostrofo è be' (= bene, ebbene, dunque), usata come avverbio di valore concessivo, conclusivo o interrogativo: be', andiamo!; be', cosa vuoi?
L'avverbio bene ha comparativo e superlativo irregolari: meglio e ottimamente. Mentre meglio è di uso corrente e non può essere sostituito da più bene, il superlativo ottimamente è generalmente sostituito dai regolari benissimo, molto bene, assai bene. Solo quando bene ha valore di sostantivo possiamo trovarlo preceduto da più: vuol più bene a lui che a suo padre. In questi casi si tratta, però, di funzione partitiva: più bene (= più di bene).
Nelle parole composte comincianti per p la n di ben non si muta in m, come vorrebbe la regola, perché i componenti si avvertono ancora come ben distinti. Si dice, pertanto: benpensante, benportante, ecc. Rare le forme bempensante, bemportante, ecc.

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benedíre  »  è erroneo nell'imperfetto indicativo benedivo; invece, si dovrebbe dire benedicevo, perché il verbo è un composto di dire che fa dicevo nell'imperfetto indicativo. Stesso errore si riscontra nel passato remoto benedii usato al posto di benedissi e nell'imperfetto congiuntivo benedissi al posto di benedicessi.

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benèfico  »  ha il superlativo assoluto irregolare: beneficentissimo.

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benintéso  »  è scon sigliato usarlo nel senso di "purché", "a patto che".

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bisognàre  »  è un verbo impersonale. Quando si costruisce con l'infinito, rifiuta ogni preposizione: bisogna lavorare, bisogna partire. È pure costruito con la particella pronominale che esprime la persona a cui bisogna qualcosa, mentre ciò di cui si ha bisogno è rappresentato dal soggetto: ti bisognava il nostro aiuto; mi bisognano mille euro.

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bòia  »  è uno dei pochi nomi maschili terminanti in a. Resta invariato al plurale: i boia.

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bongustàio  »  è sconsigliato scrivere buongustaio, anche se il vocabolo è di uso comune; è più corretto scrivere buon gustaio.

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bonsènso  »  è sconsigliato scrivere buonsènso; è più corretto dire buon senso, con due parole separate.

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bontempóne  »  è sconsigliato scrivere buontempone; è più corretto dire buon tempone, con due parole separate.

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bonuscíta  »  è sconsigliabile scrivere buonuscita; è preferibile dire buona uscita, con due parole separate.

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budèllo  »  sostantivo maschile che indica: intestino, usato soprattutto al plurale per indicare l'intestino dell'uomo, raramente degli animali. Al plurale ha due forme: le budella per il senso proprio, i budelli per quello figurato. Esempi: Dal ventre squarciato uscivano le budella; Avevano i budelli di gomma delle nostre ruote.
Lettera C
càlcolo  »  è improprio dire far calcolo per intendere far conto, pensare, ed espressioni simili: faccio calcolo sulla tua amicizia, conto, confido nella tua amicizia; faccio calcolo di andare a Roma, penso, faccio conto di andare a Roma.

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càmera  »  è soltanto la stanza da letto. È quindi errato dire: la camera da pranzo, la camera da studio, ecc. È meglio dire: sala da pranzo, stanza per ricevere. Ed è anche sconsigliabile, perché pleonastico, dire la camera da letto.
Invece di "alloggio di sette camere", si dovrebbe dire "alloggio di sette vani, locali, stanze".

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camìcia  »  è un sostantivo che indica un indumento e che al plurale diventa "camicie". E' ammessa anche la forma senza la "i" (camice), benché sconsigliata.

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canocchiàle  »  nome composto da canna e occhiale. È errata la grafia canocchiale (con una sola n); bisogna dire cannocchiàle (con due n).

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capacità  »  erroneo nel senso di persona capace: nel suo mestiere è una capacità. Si dovrebbe scrivere: idoneità, abilità, intelligenza.

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càrta  »  carta da visita è sconsigliato; bisognerebbe dire più correttamente biglietto di visita. Secondo i puristi, è anche sconsigliato dire mangio alla carta, per significare che mangio quel che meglio mi piace tra le vivande scritte sulla lista.

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carta da bollo  »  locuzione scorretta; è meglio dire: carta bollata.

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cascína  »  erroneo usarlo per indicare una casa colonica o una fattoria, come avviene in certe regioni italiane.

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ce  »  è erroneo dire - come avviene in certi dialetti ce lo dissi, ce lo diedi, per intendere glielo dissi, glielo diedi; le particelle ci, ce, che propriamente significano a noi, non hanno mai il senso di a lui, a lei, a loro.

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cecaménte  »  la forma ciecamente è meno corretta in quanto il dittongo ie si muta regolarmente nella semplice vocale e quando non vi cade l'accento; come del resto accade in cecità, accecare, cecaggine, cechino, ecc.

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cèlebre  »  ha il superlativo assoluto irregolare: celeberrimo. Significa famoso, noto, illustre, glorioso. Il sostantivo astratto celebrità è a volte usato con riferimento a persona, invece di uomo celebre: È una celebrità nel campo medico; Erano presenti varie celebrità. Per i puristi, è un francesismo da evitare.

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cèlibe  »  aggettivo o sostantivo maschile. Significa: scapolo, non sposato. Si usa riferito solo all' uomo. La voce corrispondente al femminile è: nubile.

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cèntra  »  è la terza persona singolare del verbo "centrare", cioè colpire al centro. Purtroppo, accade di leggere "centra" per intendere "c'entra", con l'apostrofo (forma errata Non centra nulla; forma corretta Non c'entra nulla). Errore da evitare con attenzione.

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che  »  pronome relativo indeclinabile. Vale per il maschile e per il femminile, il singolare e il plurale. Può essere usato solo come soggetto o come complemento oggetto: Il libro che mi hai dato (maschile singolare, complemento oggetto); Il ragazzo che parla (maschile singolare, soggetto); La casa che hai costruito (femminile singolare, complemento oggetto); La donna che ride (femminile singolare, soggetto); Gli uomini che hanno marciato (mascile plurale, soggetto); Gli amici che hai tradito (maschile plurale, complemento oggetto); Le fanciulle che pregano (femminile plurale, soggetto); Le prigioniere che noi liberammo (femminile plurale, complemento oggetto).
Per gli altri complementi si dovrebbero usare le forme del pronome relativo: il quale, la quale, cui, i quali, le quali. Tuttavia, si può usare ancora che in funzione di altro complemento:
a) per indicare circostanza temporale: nell'anno che (= in cui) nascesti tu;
b) nelle comparazioni, quando il verbo sia sottinteso: tu soffri dello stesso male, che (di cui soffro) io;
c) quando è usato in senso neutro, significando cioè la qual cosa, con riferimento a tutta la proposizione precedente o a un intero concetto; nel qual caso prende di solito l'articolo: Tu non studi, del che io mi dolgo; Ti sei messo a lavorare: il che è giusto; Hai vinto il concorso: del che mi rallegro.

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che  »  come congiunzione subordinativa, introduce le seguenti proposizioni:
a) dichiarative, cioè soggettive o oggettive: è possibile che io ritardi; so che accetterai; in questo tipo di proposizioni talvolta che è sottinteso: temo non venga; preferisco venisse lui stesso;
b) causali: ti ringrazio che sei venuto; sono lieto che vi siate riconciliati; s'irritò che io fossi mancato all'appuntamento;
c) consecutive: cammina che pare zoppo; copriti che tu non senta freddo; il caldo è tale che non potrebbe esser maggiore;
d) finali: procura che tutto sia in ordine; fatelo sedere che si riposi; furono inviati ambasciatori che trattassero la pace;
e) temporali: sono tornato che non erano ancora le cinque; visto che ebbi mio padre, mi avvicinai a lui;
f) imperative: che nessuno parli; che tu sia benedetto; che venga pure; che Dio non voglia;
g) comparativa: è meglio essere amati che temuti; hai avuto più che non ti spettasse.

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che bello!  »  secondo i puristi è erroneo dire, come accade in certi dialetti, che bello!, che buono!, invece di che bella cosa!, che buon uomo! ecc., in quanto il che esclamativo è un aggettivo e perciò non può essere usato senza il nome. È anche considerato erroneo dire, nelle interrogazioni dirette o indirette, cosa fai?, gli chiese cosa facesse, invece di che cosa fai? o che fai?, gli chiese che cosa facesse, gli chiese che facesse (brano tratto dal "Novissimo dizionario della lingua italiana" di Fernando Palazzi, casa editrice Ceschina, 14a ristampa, pagina 243).

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ché  »  con accento acuto (é) è una congiunzione che sta per perché, poiché, perciocché, affinché: «padre mio, ché non m'aiuti?» (Dante); teneva le mani in tasca ché sentiva freddo.

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chè  »  con accento grave (è) è una interiezione, cioè una espressione di meraviglia, disappunto, ironia, biasimo, riprovazione, e quasi sempre con valore negativo: (Credi che venga?) Che! neanche per sogno!; Che! non è possibile!; Che! ti pare?. Anche ripetuto per conferire alla frase maggiore efficacia, come energica negazione: Che! che! non ne voglio più sapere.

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chiúnque  »  è pronome indefinito ma anche relativo; perciò, secondo i puristi della lingua italiana, è un errore usarlo in modo assoluto, senza cioè che stia a congiungere due proposizioni: ad esempio, lo dirò a chiunque. In questo caso, bisognerebbe dire lo dirò a chicchessia. Invece, esso è usato correttamente nella frase lo dirò a chiunque vorrà sentirmi.

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ci  »  è particella pronominale che significa a noi; qualche rara volta, nel linguaggio familiare, può anche significare con lui, da lui: non ci discorro, con lui; non ci vado, da lui. Costituisce un grave errore usarlo, come molti fanno, nel significato di a lui, a lei, a loro: ci dico invece di gli dico, le dico, dico loro.

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cia  »  i nomi femminili terminanti al singolare in cia (senza l'accento sull' i) hanno il plurale in cie quando la c è preceduta da vocale (audacia, audacie; fiducia, fiducie; socia, socie); in ce, quando la c è preceduta da consonante (faccia, facce; guancia, guance; quercia, querce).

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cíglio  »  nome sovrabbondante o eteroclito. Ha due desinenze al plurale: i cigli (per l'uso figurato: i cigli della strada, di un fosso; fermarsi sul ciglio del burrone) e le ciglia (per l'uso proprio: le ciglia dell'occhio).

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cínta  »  errato usarlo per intendere cintura.

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circúito  »  è un errore pronunziare circúito quando lo si usa come participio passato di circuìre, circondato; bisogna dire circuìto.

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codésto  »  va usato solo quando si riferisca a persona o cosa vicina a chi ascolta, cioè alla seconda persona. In Toscana di solito si è precisi nell'uso di codesto. Un amico incontra un tale con la mano fasciata e dice: «Che hai fatto in codesta mano?» (la tua non la mia). Altrove si direbbe in quella mano.

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cognómi  »  restano invariati nel plurale: i Savoia, i Colonna, gli Orsini. Salvo che negli elenchi in ordine alfabetico, si pospongono sempre al nome: Vittorio Alfieri, Alessandro Manzoni, Giovanni Verga.
I cognomi di persone illustri vogliono, di regola, l'articolo: il Petrarca, il Manzoni. Ma nell'uso corrente possono non essere preceduti dall'articolo: Dante, Boccaccio, Petrarca; le musiche di Verdi; gli scritti di Mazzini. I cognomi vogliono sempre l'articolo quando si riferiscono a donne: Oggi ho visto la Rossi; Ha telefonato la Bianchi.
Nome e cognome di una donna maritata. C'è un po' d'incertezza: Laura Tonelli Rossi (cognome da ragazza), oppure: Laura Rossi Tonelli, Laura Rossi in Tonelli, Laura Tonelli (il solo cognome del marito). Una donna che sia diventata illustre col cognome di ragazza, di sòlito non usa più il cognome del marito se non nelle carte legali. Si trova anche scritto così: Laura Tonelli nata Rossi. Quel nata sarebbe un francesismo.
Un signore domandava al contadino:
- Vostra moglie come si chiama?
- Giulia Ludovici.
- Nata?
- Nata qui nella parròcchia.
- Ignorante! Voglio sapere il nome da ragazza.
(L'ignorante, in questo caso, era il signore).

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còllo  »  e similmente colla, cogli, colle sono forme errate di preposizioni articolate, poiché la preposizione con si fonde solo con gli articoli il, i, formando le voci col, coi. Con gli altri articoli non si fonde bene e, pertanto, è più corretto scrivere separatamente con lo, con la, con gli, con le.

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cólpa  »  errato dire perdette l'impiego, colpa la sua negligenza, invece di per colpa della sua negligenza; o colpa della sua negligenza.

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cóme  » , se il secondo termine di paragone è un pronome, va usato nelle forme del complemento oggetto (me, te, lui, lei, loro): Sei bravo come me. Seguito da se e il congiuntivo, equivale a quasi che: Parla come se avesse vinto; Fa come se io non ci fossi.

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comparatívo  »  nei comparativi di maggioranza o di minoranza, in relazione a più o a meno si deve usare:
a) la preposizione di, quando segue un nome: Giulio è più buono di Carlo; Carlo è meno buono di Giulio;
b) la congiunzione che in tutti gli altri casi: Egli è più generoso che cattivo; è un affare meno utile che rischioso.

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competènza  »  erroneo usare questa voce in senso concreto per persona competente, dotta, istruita, versata, e simile: egli è una competenza in fatto di nevrastenia.

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con  »  dopo il con dovrebbe essere evitato l'articolo partitivo: bisognerebbe scrivere ci vado con amici, con alcuni o con certi amici, e non con degli amici, che è una espressione poco gradita ai grammatici.

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concordànze  »  1) Il predicato verbale concorda col soggetto nel numero e nella persona (io canto, noi cantiamo). Nei tempi composti il participio concorda anche nel genere se l'ausiliare è essere (Maria si è alzata) e non concorda né in genere né in numero se l'ausiliare è avere (le rose hanno profumato la stanza).
2) Se una proposizione ha più soggetti, alcuni dei quali espressi dai pronomi personali, il predicato verbale deve avere la prima persona plurale se c'è un soggetto di prima persona, la seconda plurale se c'è un soggetto di seconda persona (tu ed io andremo a casa; io e lui partiremo domani; tu e lui studiate).
3) Anche se la forma può suscitare perplessità, nella Grammatica di Fernando Palazzi si legge che i verbi impersonali possono restare al singolare sebbene siano seguiti da un soggetto al plurale: C'è degli uomini che vivono cento anni; Vi è degli uccelli che cantano anche in schiavitù; Or fa dieci anni; Si sale dieci miglia.
4) Il predicato nominale concorda con il soggetto nel genere e nel numero, quando si tratta di un aggettivo: La rosa è bella; Gli scolari sono buoni; Le fanciulle erano pie.
5) Se vi sono più soggetti, e di genere diverso, ha la prevalenza il maschile: La rosa e il giglio sono profumati; Gli amici e le amiche sono invitati
6) Il predicato resta al singolare, sebbene i soggetti siano più, quando questi siano considerati separati dalle congiunzioni disgiuntive o, né: Né la minaccia né la lusinga valse a fermarlo, oppure quando i due soggetti siano uniti dalla preposizione con: Egli coi suoi amici venne a trovarci. Alcuni in questo caso usano il predicato al plurale: Egli coi suoi compagni vennero a trovarci; ma non è uso corretto.
7) Se il predicato nominale è costituito da un sostantivo, concorda col soggetto in genere e numero; se però il sostantivo ha un solo genere, concorda con il soggetto solo nel numero, anche questo quando è possibile: Paola è una bambina; La tigre è una bestia; Francesco è un soldato; Roma è il centro della civiltà; Il proletariato è una classe sociale; Tullia e Luigi sono sospesi; La peste e il colera sono un flagello.
8) Quando il soggetto è un nome collettivo singolare, seguito da un complemento di specificazione plurale, il predicato, verbale o nominale, può essere usato al plurale, concordando così, piuttosto che col soggetto, col complemento di specificazione; col quale anche concorderà nel genere, nei casi in cui tale concordanza è possibile: Un'intera squadra di atleti erano partiti per le gare; Il resto delle donne erano partite. E questa si chiama concordanza a senso.
9) Il participio passato nei tempi composti, quando il verbo prenda l'ausiliare avere concorda col complemento oggetto quando questo sia preposto al verbo e non concorda se è posposto: Egli ha scoperto molte cose; Molte cose ho vedute io nella vita; La lettera che io ho ricevuta; Le rose che io ho colte.
10) Se il nome è plurale e gli attributi più d'uno, essi si mettono al plurale quando tutti si riferiscono a tutta intera l'idea espressa dal nome: Le cose terrene e caduche; ma invece al singolare, quando ciascuno di essi si riferisca a una specie distinta contenuta in quel nome: I vocabolari italiano, francese, latino; I due vini, bianco e rosso. congiuntívo  »  è un grave errore usare il congiuntivo al posto del condizionale: se egli avesse progredito, chi sa che non fosse (corretto:sarebbe) arrivato. E viceversa: m'ha detto che cercassi di affrettare le nozze il più che potrei (corretto: potessi). Sono sviste frequenti.

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constatazióne  »  secondo i puristi è la forma errata del sostantivo femminile costatazione. Va comunque detto che entrambe le forme sono accettate da tutti i vocabolari più aggiornati, fra i quali il Treccani.

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continuare  »  verbo della prima coniugazione, usato intransitivamente si coniuga con l'ausiliare avere quando il soggetto è una persona: Il ferito ha continuato a respirare per molte ore. Quando il soggetto è una cosa, si usa essere se il verbo è usato assolutamente: La pioggia è continuata per tutta la notte, avere quando è costruito con a e l'infinito di un altro verbo: La pioggia ha continuato a cadere. Si usa indifferentemente essere e avere quando è usato impersonalmente: Ha continuato a nevicare; È continuato a nevicare.

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contra  »  è un prefisso che, adoperato per la formazione di parole, richiede il raddoppiamento della consonante iniziale nella parola a cui si premette, purché non sia s impura, z, x, gn, ps: contraddire, contrapporre, contrafforte, contraccambiare, contrappunto.

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contraddíre  »  non è corretto scrivere contradire, contradetto, poiché il prefisso contra esige sempre il raddoppiamento dell'iniziale della parola dire con cui si unisce.

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contraddittòrio  »  è sbagliato scrivere contradittorio (per la ragione esposta alla voce contraddire) e peggio sarebbe scrivere contradditorio.

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contravvenzióne  »  elevare una contravvenzione è espressione poco corretta; è meglio dire "intimare, contestare, infliggere una contravvenzione".

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contro  »  preposizione impropria (infatti è un avverbio usato come preposizione), che regge il termine direttamente o per mezzo delle preposizioni semplici a e di (quest'ultima è d'obbligo con i pronomi personali): Combattè contro i Greci; Nulla vale contro alla forza (o contro la forza); Sono tutti contro di te, contro di noi.

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convenire  »  nel senso di mettersi d'accordo vuole l'ausiliare avere: Abbiamo convenuto che questa è l'unica via da seguire.
Nel senso di giovare, bisognare, vuole l'ausiliare essere e rifiuta la preposizione di, quando si costruisca con un infinito; ad esempio, bisogna scrivere: Sono convenuti a Roma i rappresentanti di tutte le città d'Italia; Ci è convenuto partire subito.

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convogliàre  »  è sconsigliato usarlo per intendere "avviare le acque", "incanalare".

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copèrto  »  come sostantivo maschile indica luogo coperto: Non importa se piove: siamo al coperto. È un francesismo criticato dai puristi usare questo sostantivo per: posto a tavola, commensale; ad esempio, Preparo un pranzo per dieci persone (non "dieci coperti"); Aggiunse un posto a tavola (non "un coperto a tavola").

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correre  »  e tutti gli altri verbi di moto vogliono l'ausiliare avere, quando l'azione è considerata in sé, e nel significato di partecipare a una corsa; vogliono invece l'ausiliare essere quando l'azione è considerata in rapporto ad una mèta, espressa o sottintesa: ho corso a lungo e sono tutto sudato; ricordi i nomi degli assi che hanno corso nell'ultimo circuito di Monza?; sono corso a Roma, dal medico; sono corsi avvenimenti importanti in questi ultimi tempi.

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corrispóndere  »  verbo della seconda coniugazione, intransitivo, che significa: convenire, concordare, adattarsi: Le tue parole non corrispondono a verità; È un giovane che non ha corrisposto alle nostre speranze. Il verbo è anche usato, in modo scorretto, come transitivo nel senso di dare, pagare, versare: Mi corrisponde uno stipendio mensile.

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córsa  »  è meglio evitare di scrivere corsa al trotto o al galoppo; invece, è corretto scrivere corsa di trotto o di galoppo.

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córso  »  essere in corso, detto di cose che si stanno facendo (È in corso una revisione dei valori; Il volume è in corso di pubblicazione). Sono corrette anche le seguenti forme: Sono in corso una serie di lavori di ristrutturazione della casa; Il resto delle manovre sono attualmente in corso. Questa si chiama concordanza a senso (vedere più sopra concordanze n. 8).

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cosa  »  sconsigliato, perché eccessivamente familiare, usare cosa senza farlo precedere dal che nelle interrogazioni dirette o indirette; secondo i puristi, è sbagliato scrivere cosa dici? voleva sapere cosa facessi di bello, al posto di che cosa dici? voleva sapere che cosa facessi di bello.

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cui  »  pronome relativo usato come complemento, sempre preceduto da preposizione. Non può essere adoperato né come soggetto, né come complemento oggetto. Perciò può essere sostituito dalle forme composte del pronome relativo (il quale, la quale, i quali, ecc.), ma mai da che: Ho visto lo spettacolo di cui eri entusiasta; Mi hai indicato l'uomo con cui dovrò parlare. Può fare a meno della preposizione a: Ecco la persona cui alludevo .
Deve fare a meno della preposizione di, quando sia frapposto tra l'articolo e il nome cui l'articolo si riferisce: il cui padre, la cui madre, i cui fratelli; mentre sarebbe un errore dire il di cui padre, la di cui madre, i di cui fratelli.
Non si può usare mai in senso neutro, cioè sottintendendo la parola cosa e riferendolo a un concetto o ad un'intera proposizione; pertanto è errore dire: siete stati buoni, per cui vi offrirò un gelato; più correttamente si dovrebbe dire e perciò vi offrirò un gelato.

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curiosàre  »  poco corretto nel senso di andare in un paese o in un luogo per vedere le cose belle che vi sono o per svago; andare in giro, per ozio, fermandosi ad osservare ogni cosa ma senza interesse e senza scopo; secondo i casi, è meglio dire: visitare, osservare, bighellonare.
Lettera D
da  »  preposizione usata irregolarmente al posto della preposizione di nelle frasi festa da ballo, messa da requiem, biglietto da visita, coperto dalla neve; tuttavia, tali espressioni sono ormai entrate nell'uso e sono comunemente accettate.
Da non si apostrofa mai, tranne che in alcune locuzioni avverbiali, come d'altro lato, d'altronde, d'ora in poi.
Quando questa preposizione è usata come prefisso per comporre parole, richiede il raddoppiamento della consonante iniziale della parola a cui si premette: dabbene, daccapo, daccanto, dapprima.
Quando è voce del verbo "dare" (terza persona singolare), richiede sempre l'accento, in modo da evitare confusione con la preposizione "da".

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daccàpo  »  è un avverbio che significa "di nuovo", "da principio". Si può scrivere in due modi: "daccapo", oppure "da capo", entrambi corretti.

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dàre  »  erroneo dire dassi, dasti, dammo, daste, invece delle forme corrette dessi, desti, demmo, deste. Secondo i puristi della lingua italiana, è poco corretto dire dar dentro a fare una cosa, per mettercisi di proposito; peggio sarebbe dire dar fuori, per intendere "scattare", "impazzire".

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datare  »  erroneo usarlo intransitivamente per cominciare da un tempo determinato: a datare da oggi; invece, si dovrebbe dire: incominciando da oggi, a partire da oggi.

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declinàre  »  secondo i puristi, è erroneo scrivere declinare le generalità nel senso di dire il proprio nome e cognome, farsi conoscere.

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deficiènte  »  aggettivo (dal latino deficere) per intendere "mancante", "insufficiente": forze deficienti, soccorsi deficienti. È errato scrivere deficente (senza la i), poiché il vocabolo deriva dal latino deficiens.

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derogàre  »  è erroneo dire derogare da, poiché il verbo si costruisce con la preposizione a. Bisogna scrivere: Non ha derogato alle leggi; In quella occasione si derogò al regolamento.

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diètro  »  avverbio e preposizione impropria. Come preposizione si può costruire sia con la preposizione a, sia unita direttamente al nome: Dietro alla facciata; Dietro la chiesa. Davanti ai pronomi personali è obbligatoria la costruzione con di: Camminava dietro di voi. Si costruisce con la preposizione a anche davanti a pronomi personali se la frase esprime l'idea di moto a luogo: Andò dietro a voi; Andava sempre dietro a lei.
È scorretto l'uso di dietro in alcune locuzioni nelle quali sta a significare "per effetto di", "dopo", "a causa di": dietro versamento (contro versamento), dietro sua richiesta (a sua richiesta), dietro quanto m'è stato detto (da quello che m'è stato detto), dietro le tue osservazioni (in seguito alle tue osservazioni), ecc.

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difensore  »  fa al femminile difenditrice (benché sia una forma desueta).

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difilàto  »  avverbio usato nelle maniere andare o venire difilato, con prontezza, direttamente. Erroneo è scrivere diffilato (con due "f").

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dinànzi  »  è errato scrivere dinnanzi, poiché la voce è composta dalla preposizione di che non richiede raddoppiamento e da nanzi; di solito si raddoppia per analogia con innanzi, ma quest'ultima voce è composta da in e nanzi e perciò a ragione si scrive con n doppia.

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Dio  »  al plurale si scrive dèi. Eccezionalmente, la singola voce vuole dinanzi a sé l'articolo determinativo gli, invece di i: il dio Mercurio, gli dei falsi e bugiardi.

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diramàre  »  è meglio evitare di scrivere diramare un ordine, una circolare, per intendere "mandarla ai diversi uffici". È meglio scrivere: inviare, spedire, trasmettere un ordine, una circolare, un comunicato alla stampa, gl'inviti.

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discorso indiretto  »  il passaggio dal discorso diretto a quello indiretto implica un cambiamento nei verbi delle proposizioni dipendenti, secondo le seguenti regole:
1) l'indicativo presente del discorso diretto diventa indicativo imperfetto nel discorso indiretto: Carlo disse: "Vado al cinema". Carlo disse che andava al cinema;
2) un tempo passato del discorso diretto diventa trapassato prossimo dell'indicativo nel discorso indiretto: Mio padre diceva: "Ho sempre rispettato i miei superiori". Mio padre diceva che aveva sempre rispettato i suoi superiori;
3) l'imperativo o il congiuntivo esortativo del discorso diretto diventano congiuntivo imperfetto o infinito presente nel discorso indiretto: Il maestro ci ordinò: "Studiate e meditate". Il maestro ordinò che studiassimo e meditassimo, oppure: Il maestro ordinò di studiare e di meditare;
4) il futuro del discorso diretto diventa condizionale passato nel discorso indiretto: Lucio annunziò: "Partirò domani". Lucio annunziò che sarebbe partito domani.
Le altre proposizioni si regolano come nel discorso diretto.

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disegnamo  »  è errato scrivere disegnamo (senza la i), invece di disegniamo, poiché la desinenza del presente indicativo 1^ persona plurale della 1^ coniugazione è -iamo e non -amo: amiamo, cantiamo.

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dispiacènte  »  è sconsigliato usarlo nel senso di "che sente dispiacere": sono dispiacente di avervi offeso. È più corretto dire mi dispiace, sono dolente, ecc.

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disponíbile  »  è considerato errato dai puristi l'uso dell'aggettivo per intendere "da poterne disporre" (cavalli disponibili); sarebbe più corretto dire liberi.

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dittongo mobile  »  sono chiamati dittonghi mobili uo, ie perché, quando su di essi non cade più l'accento o sono seguiti da due consonanti, si riducono alle vocali semplici o ed e. Quindi si dovrebbe scrivere: buòno, giuòco, sièdo, piède, mièle e bonissimo, giocava, sedeva, pedestre, pedata, melato.
Le sole eccezioni sono rappresentate dai verbi vuotare e nuotare che conservano il dittongo anche nelle voci in cui non cade l'accento, per distinguerle dalle voci simili dei verbi votare, notare; nonché dai verbi mietere e presiedere: nuotava, vuotava, mieteva, presiedeva.

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diversívo  »  è errore l'uso di diversivo per divario, differenza, diversità. Ad esempio, è sbagliato dire "C'è un notevole diversivo fra le nostre valutazioni".

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dovere  »  quando è in funzione di verbo servile, si coniuga con l'ausiliare del verbo che accompagna: E' dovuto partire; Era dovuto andare; Ho dovuto bere.
Con i verbi riflessivi sono ammesse due costruzioni: Ho dovuto pentirmi, oppure: Mi sono dovuto pentire.

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dovunque  »  è un avverbio relativo ed è pertanto erroneo usarlo in frasi non relative, come un semplice avverbio locale. Si dovrà dire: dovunque tu sia, saprò trovarti, oppure l'ho cercato dappertutto e non dovunque (ad esempio, è considerato errato scrivere "l'ho cercato dovunque").